martedì 8 maggio 2012

Redistribuire o produrre? La società prigioniera del suo dilemma.

Immaginiamo che lo scopo dell’attività economica di un gruppo di persone che vivono in una stessa comunità sia quello di produrre una torta con cui sostenersi. Va da sé che più grande è la torta prodotta, più grandi saranno le fette disponibili per i suoi membri. Dal punto di vista dell’intera società quindi, c’è tutto l’interesse a produrre una torta il più grande possibile. Tuttavia per il singolo individuo esiste un altro punto di vista. La sua priorità non è tanto la grandezza della torta, ma piuttosto quanto è grande la quota a lui riservata e ciò che deve fare per ottenerla. Di certo in ogni tipo di società può farlo cooperando con gli altri membri e producendo e meritandosi la propria quota, ma esiste un’altra opzione: cercare di accaparrarsi una fetta prodotta da altri.
Douglas North, economista e premio Nobel americano, a questo proposito classificava le attività economiche in due fondamentali categorie: attività produttive e attività redistributive a seconda che producano o solo trasferiscano ricchezza da un soggetto ad un altro.
Naturalmente è difficile pensare ad un’attività che sia solo redistributiva (a parte forse il mero furto) o solo produttiva. In realtà è sempre un mix dei due tipi, tuttavia tanto più è redistributiva, tanto più è inutile ed anzi nociva alla società. Tanto più è produttiva, tanto più è virtuosa. C’è da sottolineare inoltre che questa divisione non ha nulla a che vedere con ciò che è lecito e ciò che non lo è. Si possono trovare molti esempi di regole sociali in cui attività redistributive sono perfettamente lecite ed anzi paradossalmente incentivate.
Per tornare all’esempio precedente, come fa il singolo operatore a scegliere quale condotta economica tenere? La decisione è diretta conseguenza del criterio con cui la società spartisce tra i suoi membri quanto ha prodotto. Per un individuo razionale infatti la scelta dipende dal confronto tra i risultati attesi delle due alternative.
La soluzione più semplice ad esempio è rubare, ma di solito questa pratica è in maniera più o meno efficace scoraggiata dalle regole sociali di qualsiasi comunità. Se la spartizione della torta prodotta avviene in maniera egualitaria per ogni cittadino indipendentemente dalla sua partecipazione alla produzione, allora un altro modo è semplicemente quello di non fare nulla. Rimanere inattivo e aspettare l’assegnazione della propria quota.
In una società più o meno meritocratica è invece necessario un qualche tipo di azione per poter ricevere qualcosa. Tutto dipende sempre dalle regole sociali, le quali fissano incentivi e vincoli. Una società potrebbe ad esempio per tradizione o per il contesto in cui vive privilegiare una determinata categoria dei suoi membri, come i guerrieri, i sacerdoti o per assurdo i coltivatori di erba cipollina. Ecco che allora ci sarebbe l’incentivo per ogni membro a diventare guerriero, sacerdote o coltivatore di erba cipollina per godere di quel privilegio. La categoria beneficiata avrebbe poi tutto l’interesse a difendere e rafforzare il proprio status.
In generale dunque un individuo si trova davanti ad un dilemma: investire il proprio talento, le proprie capacità, la propria educazione e in generale la propria vita in un’attività produttiva o in una redistributiva? La risposta naturalmente non è semplice e dipende da una quantità innumerevole di fattori, interni all’individuo come ad esempio l’attitudine personale, il background socio culturale, etc ed esterni come l’ambiente, il particolare momento storico, le regole sociali, ma ciò che è importante evidenziare è che il punto di vista individuale può divergere sensibilmente da quello sociale.
È presumibile pensare che in una società all’inizio della sua espansione economica dove ci sia poca ricchezza in circolazione renda mediamente di più produrre che redistribuire, mentre vale il contrario in una società evoluta, ad uno stadio maturo del ciclo economico e con un basso tasso di crescita, ma tanta ricchezza accumulata nel passato . E in questo secondo caso si può immaginare che il risultato a livello complessivo non sarà il migliore. Portando all’estremo, nessuno produce, tutti redistribuiscono. Ed anzi, sprecano risorse nella competizione redistributiva, come due lottatori di sumo in una cristalleria che lottano per accaparrarsi il pezzo pregiato.
Nel 1974, in un interessante articolo apparso sull “American Economic Review, l’economista americana Anne Kruger, coniò l’espressione “Rent seeking society”. La parola rent “rendita” ha lo scopo di contrapporsi al termine “profit”, profitto nell’ambito della classificazione dei redditi (profitti, rendite, salari) fatta a suo tempo da Adam Smith, il padre della scienza economica moderna.
Una società alla ricerca della rendita, ossia una società in cui sia più conveniente dedicarsi ad un’attività redistributiva, ha concettualmente vita breve perché se nessuno produce non ci sarebbero risorse da redistribuire una volta esaurite quelle accumulate in passato. La soluzione potrebbe essere quella di mirare a conquistare risorse prodotte da un’altra società con cui la prima è in contatto, ma il problema verrebbe solo spostato nello spazio e nel tempo.
(continua...)

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