giovedì 17 maggio 2012

Interesse sociale o interesse individuale? Non è solo una scelta morale, anzi è soprattutto economica.

Nei corsi base di economia ci hanno sempre insegnato la teoria dell’individuo che agisce nella società perseguendo unicamente il proprio interesse. Un comportamento egoista e razionale che tuttavia produce, magicamente, il bene comune. La cosiddetta mano invisibile che fa sì che i vari egoismi individuali si accordino per dare il massimo risultato a livello collettivo (“Non è dalla generosità del macellaio, del birraio o del fornaio che noi possiamo sperare di ottenere il nostro pranzo, ma dalla valutazione che essi fanno dei propri interessi” diceva Adam Smith, il primo alfiere del liberismo economico).
Ma non è sempre così in effetti. Almeno non sempre e almeno secondo il cosiddetto “Dilemma del Prigioniero” . http://it.wikipedia.org/wiki/Dilemma_del_prigioniero
La contestazione che è sempre stata fatta al liberismo è di essere un sistema iniquo e crudele, che premia i più forti è penalizza i più deboli non tenendo conto dei diritti e soprattutto dei bisogni di tutti i componenti della società. Una sorta di legge della giungla insomma, o al massimo un Darwinismo sociale. La risposta dei teorici del liberismo è che comunque questo è il sistema più efficiente perché tramite una struttura di incentivi efficace che premia i vincenti, spinge tutti a dare il meglio di sé.
La forza del “dilemma” sta però nel fatto che è in grado di contestare il liberismo e la filosofia individualista che ne sta alla base proprio dal punto di vista dell’efficienza economica, ossia proprio sul campo in cui i liberisti si sentono inattaccabili.
Ma che cos’è il Dilemma del Prigioniero? È un esercizio teorico sul comportamento umano tratto dalla teoria dei giochi e applicabile in svariati ambiti, da quello militare a quello politico. Come un esperimento di laboratorio fatto sulla carta. Due persone vengono imprigionate ed accusate di un reato. In due interrogatori separati, ognuno dei due deve decidere se confessare, cioè tradire il complice, o non confessare, cioè non tradire. In base a ciò subiranno la pena. Si ipotizza che queste due persone agiscano come esseri perfettamente razionali e il criterio delle loro decisioni sia solo la massimizzazione individuale del profitto o meglio in questo caso la minimizzazione delle condanne. Non si tengono in conto altri valori come la lealtà o l’amicizia o qualsiasi altro criterio di scelta. Ebbene, si dimostra in modo rigoroso che entrambi hanno interesse a tradire. Di fatto, dal punto di vista individuale, la strategia dominante (ossia quella che dà al giocatore che la segue un risultato migliore di ogni altra strategia, qualunque sia la scelta effettuata dagli altri giocatori) per minimizzare la condanna è quella di tradire il compagno.
Nessun problema fino a qua, anzi ciò è coerente con lo spirito individualista alla base del liberismo. Il fatto strano tuttavia arriva quando si analizzano i risultati. Dal punto di vista complessivo (ma anche da quello individuale) questo risultato non è il migliore. Esiste infatti una combinazione di decisioni in cui la somma degli anni di condanna dei due prigionieri è più bassa. E questa situazione è proprio quella in cui nessuno dei due tradisce.
E proprio questo è il punto critico. L’interesse individuale porta ad un risultato complessivo inferiore rispetto all’interesse sociale e si dimostra rigorosamente che decisioni prese dal punto di vista individuale, per massimizzare cioè i risultati attesi per il singolo individuo, portano ad una situazione peggiore complessivamente rispetto ad una in cui le decisioni sono prese da un punto di vista macro, considerando cioè la società nel suo complesso.

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